Riprendiamo la nostra chiacchierata con Antonio Mannu, appassionato di tradizioni popolari e nello specifico della moda vestiaria ossese. Ossi, pittoresco centro del Logudoro, nonostante la vicinanza con Sassari, distante solo una decina di chilometri, ha saputo preservare la sua parlata logudorese e le tradizioni locali, tra le quali il ricco abbigliamento tradizionale.
Nella prima parte dell’intervista abbiamo raccontato le diverse fogge dell’abito tradizionale di Ossi, il grande lavoro di ricerca svolto da Ammentos de Ossi-Associazione Culturale Folkloristica Santu Bèrtulu, di cui Antonio è fondatore.
Nella seconda parte dell’intervista racconteremo altre particolarità dell’abito tradizionale, quali i gioielli e i diversi copricapo.
I gioielli, che impreziosiscono gli abiti ed evidenziano la ricchezza di chi li indossa, meritano un approfondimento a parte.
Un ricco e completo corredo orafo, ad Ossi, come in tutti i centri isolani, apparteneva solo ed esclusivamente alle classi più abbienti e a chi se lo poteva permettere. In paese non mancano pezzi autentici. Erano in uso bottoni, orecchini spesso con pendente in corallo, collier dallo stile borbonico con il nodo d’amore, le collane di corallo con o senza vaghi d’oro, la catena saliscendi, chiamato da noi sa cadena emma, anelli, fermagli, i medaglioni e la bottoniera, propria de sos coritos antichi, con venti bottoni, dieci per manica; oppure, nei modelli più recenti, un solo bottone per manica. Sos butones de s’oro sono i due bottoni grandi della camicia, mentre sos butones de prata, in filigrana o traforati venivano utilizzati nella chiusura dei polsini.
Le collane di corallo sono un po’ il simbolo di questa tipologia di abito.
Uno dei gioielli più caratteristici delle tipologie d’abito festivi e di gala è la collana di corallo con vaghi d’oro, sa collana ‘e coraddu. A metà/fine ‘800 non s’indossavano tutti quei gioielli che siamo abituati a vedere nelle foto più recenti. Di originario sardo c’è ben poco o quasi niente, solo i bottoni e la collana di corallo. Molti gioielli, come spille e medaglioni, provenivano dal Continente. Le ossesi erano sempre spinte a acquistare e indossare le novità e gli oggetti più particolari. Un gioiello a me caro è la collana di corallo con i vaghi d’oro, sas postas; nei paesi del Campidano vengono chiamati cannacas de bentu. Questa collana la ritroviamo in provincia di Sassari ad Ossi, a Sennori e a Thiesi. Ha sembianze di rosario: i grani dell’Ave Maria sono rappresentati dai barilotti di corallo sfaccettati e i Padre nostro da sas postas. Il corallo può avere una colorazione rossastra oppure rosso aranciato. Il corallo aranciato proveniva dall’isola emersa di Sciacca, in Sicilia. Questo materiale rappresenta il sangue di Cristo e funge da amuleto per scacciare via il malocchio. I vaghi sono formati da due lamine sferoidali, chiusi agli estremi da due cilindretti, recano incisioni o lavorazioni in filigrana. Anticamente si indossavano anche tre collane insieme.
Si utilizzavano alcuni oggetti come amuleti, com’erano e che uso ne veniva fatto?
Esistono diversi tipi di amuleti, ma la funzione è sempre la stessa: allontanare o imprigionare le forze del male. Tra i tanti, ti cito “su pinnadellu”, chiamato molto spesso su cocu. È un manufatto di pietra onice o pasta vitrea incastonato tra lavorazioni in filigrana d’argento. Veniva realizzato dai maestri argentieri, che, secondo la credenza popolare, poiché avevano la capacità di trasformare i metalli, erano considerati degli alchimisti, “maiarzos”. Secondo tradizione, l’oggetto dev’essere regalato e non comprato da chi lo deve indossare. A volte, gli amuleti venivano portati dalle donne o dagli uomini che sapevano fare “sa meighina de s’oiu”. Per non perdere la capacità di proteggere il neonato, il bambino e l’adulto, su pinnadellu veniva nascosto negli abiti, non si doveva dire di averlo addosso e non si doveva farlo toccare da estranei. Quando questo amuleto “catturava” il male, si rompeva e di conseguenza bisognava rifarlo di nuovo.
Un’altra peculiarità presente nei vostri abiti sono le pettiere ricamate.
Le pettiere ricamate (sas petieras) sono delle strisce di tessuto, ma venivano usati anche fazzoletti e sciarpe. Dalle ricerche si evince che un parroco, per coprire e camuffare le scollature delle camicie femminili, aveva fatto comprare a Sassari diversi fazzoletti e li aveva distribuiti ad ogni donna. Così questi fazzoletti sono entrati nell’uso e sono diventati un accessorio comune, arricchendo e impreziosendo ancora di più gli abiti. Successivamente sono subentrati altri accessori che avevano la stessa funzione: pettiere ricamate, sciarpine a maglie larghe in ciniglia (sas rebecas) di vari colori, dal verde bottiglia al bordeaux. Questo genere di accessorio è presente anche in altri centri vicini, come Tissi, Muros, Cargeghe, Florinas e Ploaghe e recentemente l’ho riscontrato nell’abito tradizionale di un paese laziale. Vi sono pettiere ricamate o realizzate in vari tessuti, orlate di passamanerie, frange ed applicazioni di vario genere. L’ultima evoluzione è una sciarpetta formata da due rettangoli uniti, che presenta un ricamo traforato, in seta e tulle, che veniva abbinato ai fazzoletti di testa “festonados”, già dalla fine degli anni ‘40 del 1900.
Come erano le pettinature in uso a fine Ottocento e nella prima metà del Novecento?
Le pettinature erano diverse. Si usava raccogliere i capelli con una treccia e poi fermarli in uno chignon basso (su mogno), oppure venivano pettinati con una riga in mezzo o da un lato con una o due trecce disposta a corona. In alcune foto troviamo, eccezionalmente, pettinature con due trecce avvolte sopra le orecchie, come usavano fare le Goceanine. Ovviamente negli anni ’20 del 1900 c’era anche la moda di cotonare i capelli.
Quali sono le caratteristiche dei copricapo?
Anche il copricapo varia secondo l’epoca, la moda e il gusto personale. Dal materiale fotografico reperito, ho riscontrato un copricapo simile a un manticello, credo di fine ‘700; su questo pezzo stiamo portando avanti ricerche più approfondite. Sotto il manticello veniva indossata una larga benda di tulle o mussolina abbastanza sottile, che è stata ridotta col tempo; sopra si è iniziato a portare un fazzoletto in seta damascata, annodato sotto il mento. Questa benda (tipo Osilo) cingeva il volto della donna e veniva poggiata sopra una semplice cuffia, “su liagabu” di lino o cotone, che raccoglieva l’acconciatura. Con l’evoluzione si è passati ad ampi veli in tulle ricamati a motivi floreali, che potevano essere indossati anche con un fazzoletto sottostante triangolare, su muncaloru a corru.
Entrano a far parte del corredo vestimentario fazzoletti di fattura industriale neri in tibét ricamati con sete policrome e fazzoletti in seta avorio con tralci di vite o girasoli creati da fettuccine sottili di seta e ricami a punto catenella. Col tempo, non si riusciva più a reperirli nel mercato e quindi le ossesi hanno iniziato a cimentarsi nella realizzazione, ricamandoli a mano e a macchina, realizzando dei lavori traforati e a punto festone, chiamati “muncaloros festonados”.
L’abito maschile è il classico abito logudorese?
Anche l’abbigliamento maschile è il classico logudorese. Sa berrita, il copricapo di panno di lana; su bentone, la camicia in cotone con colletto alla coreana, che non presenta la chiusura con i classici bottoni sardi, ma in madreperla. Purtroppo, ancora, non abbiamo testimonianze del loro uso; sicuramente sono caduti in disuso già da metà Ottocento. Il corpetto, su cosso, in panno nero con lunghe asole, sos traucos, e due file di bottoni disposte a v. I bottoni sono di osso, di legno, o rivestiti di tessuto nero. Abbiamo la testimonianza di un cosso ruju, ma non abbiamo trovato nessun “reperto”; invece, ci sono fotografie di un corpetto chiuso da bottoni in lamina o filigrana. A su cosso si aggiunge su capotinu in orbace e velluto. Sos calzones, di lino o tela e un gonnellino, sas ragas, che, da ricerche fatte negli anni ‘70, risulta uguale alla vicina Ittiri e a Villanova Monteleone ma, per ora, non abbiamo nessun materiale fotografico che attesti la manifattura. I pantaloni neri, sos pantalones de fresi, hanno sostituito la foggia più antica.
Come vestivano i più piccoli, abbiamo delle testimonianze?
Per quanto riguarda l’abbigliamento infantile non è rimasto moltissimo, probabilmente perché quando i bambini crescevano molti pezzi venivano modificati e successivamente buttati. Dalle foto e dal materiale ritrovato, per le bambine dai 5/6 anni in su, ci sono bustini in broccato o ricamati, camicie, bolerini, grembiuli e gonne di stoffe poco pregiate. Per i maschi, solo qualche camicia, ma per il resto niente, anche perché indossavano già gilet, giacchine e pantaloni e il berretto classico, sa cicia. Per i bambini più piccoli si usavano i camicioni, sempre di vario tessuto.
C’è qualche altra particolarità che può essere menzionata?
Una particolarità che ti posso descrivere, tra le tante, è una variante di balza di gonna denominata a limbas de cane, che poteva essere applicata sia a una gonna in panno di lana rosso o nero. È caratterizzata da rombi formati dall’incrocio di nastri in velluto nero su un taffetà di seta sempre nero. Queste gonne possono avere una doppia balza, oppure una sola di varie altezze. In alto, la rifinitura è data da una passamaneria nera in seta con perline vitree tubolari e, alla distanza di circa 10 cm, una passamaneria di frange in seta e ciniglia, sempre nero su nero. Questo genere di balze le possiamo confrontare con la moda spagnola, come si vede nel dipinto di Francisco Goya della duchessa di Alba e nella raccolta spagnola “Historia del vestido” di Albert Racinet. Una balza simile è presente nel costume nero di Villanova Monteleone.
Abbiamo descritto finora l’abbigliamento festivo, com’era l’abbigliamento giornaliero?
L’abbigliamento giornaliero aveva tessuti poco pregiati e constava di gonne di cotone stampato a pieghe sciolte, increspate in vita, grembiule semplici, la camicia, s’imbustu e la testa coperta anche in casa, su coritu per uscire.
Ringraziamo Antonio Mannu per averci dato l’opportunità di scoprire la preziosità e la ricchezza degli abiti tradizionali ossesi.
